PILLOLE DI STORIA – STORIA DI UN RAGAZZO DURANTE LA GUERRA: GIANNI REIF

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Ho deciso di raccontare questa storia nello stesso modo in cui l’ho conosciuta io.

Il mio sguardo viene attratto da una lettera scritta a macchina, non vedo la data. Inizia con “Egregio Sig. Maresciallo….” e parla di un ragazzo “venuto in Italia dall’Austria, sua Patria, nel 1938 epoca dell’annessione dell’Austria alla Germania. Abitò a Verona per motivi di studio (studente in legge). Fu iscritto all’Università di Padova.
Si trasferì a Spinea in ottobre-novembre 1943 rimanendo nascosto per sottrarsi alla vigilanza delle Autorità. Negli ultimi mesi che precedette la liberazione ha potuto farsi assumere quale interprete dalle FF.SS. e ciò per ottenere un documento di circolazione. (….) E’ anche giornalista. Sembra sia di razza mista e che la di lui madre sia stata internata in Polonia, mentre il padre troverebbesi in Austria (Vienna)…”.

 

Questa lettera è stata mandata dal Comune di Spinea per rispondere ad una richiesta della Questura di Venezia. Terminata la guerra, la questura voleva conoscere la situazione sul territorio, se i cittadini sfollati avevano bisogno di assistenza o avessero problemi. E’ la risposta ad una richiesta di informazioni su Giovanni Reif, giornalista, di origine ebraica, cittadino austriaco, che per sottrarsi alla follia nazista a quattordici anni si rifugia in Italia, prima da una zia a Verona ed in seguito a Spinea.

Più avanti trovo le testimonianze di Adele Boni, la moglie di Giovanni (chiamato Gianni), dei figli Enza e Alberto, di Firmino Tessari, l’amico che aiutò Gianni a Spinea e dell’avv. Francesco Fabris, amico di Firmino e Gianni.

Raccontano che Gianni è arrivato in Italia all’età di quattordici anni. Hitler ha occupato l’Austria e la madre di Gianni, temendo per la vita del figlio e di se stessa, decide di trasferirsi a Verona dalla cugina Giovanna, a sua volta tedesca di origine ebraica e che ha sposato un veronese. Ma la mamma, che si chiama anche lei Giovanna, si ammala di broncopolmonite poco prima di partire ed è costretta a rimanere a Vienna. Partono il marito e Gianni ed il ragazzo viene lasciato a Verona a casa della zia.

La mamma di Gianni è viennese, laureata in lingue ed insegnante. Non è del tutto di origine ebraica, è cattolica, ma i nazisti cercano antenati ebrei fino alla settima generazione e pensano che sia soprattutto la donna a trasmettere questa “onta” alla discendenza.

Tra lei ed il figlio inizia una fitta corrispondenza. Lei gli scrive in italiano e pretende che il figlio faccia altrettanto, gli raccomanda di studiare, di non perdere tempo dietro al pallone. Sono le lettere di una madre in apprensione per il giovane figlio che vive da solo in un collegio in periodo terrificante. Sì, perché nel frattempo la zia, spaventata per le continue perquisizioni dei tedeschi in casa sua, manda il ragazzo a vivere in una struttura dei salesiani. Gianni le risponde raccontando della sua vita di ragazzo che studia, racconta del papà che lo va a trovare.

Nelle lettere bisogna sempre fare attenzione a non rivelare particolari pericolosi, la corrispondenza viene controllata, è tempo di guerra e di persecuzioni.

Trascorrono gli anni e la speranza di rivedere la mamma crolla quando arriva un telegramma: “Tua mamma arrestata non la vedrai più”. Viene deportata ad Auschwitz e di lei non si sa più nulla.

Gianni frequenta dai salesiani le medie ed il liceo. Si mantiene con i tanti gioielli che la madre, di famiglia molto ricca, fa portare dal marito in Italia quando accompagna il figlio per lasciarlo dalla zia e con le pietre preziose che lo stesso padre ingoia ad ogni viaggio che fa per venirlo a trovare. Non si possono portare soldi.

Nel 1941 Firmino viene assunto alle ferrovie e destinato a Verona. Alloggia in una piccola pensione dove conosce Gianni e ne diventa amico. Due anni dopo Firmino torna a lavorare a Mestre e Gianni lo raggiunge a Spinea durante l’estate. Qui l’amico gli presenta Adele Boni ed è amore a prima vista. Adele è orfana di padre e vive con la madre. Gianni dopo circa una settimana va a vivere da loro.

Una sera Firmino li avverte che un tale Santi, delle Brigate Nere, cerca Gianni per ucciderlo, perché è di origine ebraica. Adele e Gianni scappano, si rifugiano per un paio di giorni in una casa di contadini in via Luneo, nascosti sotto un carro di fieno e poi partono per un paese in provincia di Verona, dove li ospita una vecchia signora per una settimana. Incontrano altri ragazzi che si nascondono e per qualche tempo Gianni vive in una stanza sotterranea dove i contadini mettono i carri, con due uscite per poter scappare in caso di pericolo. Ma poi la persona che l’ha costruita diventa fascista e quindi non ci si può più fidare. Gianni e gli altri ragazzi vivono nascosti, Adele porta loro da mangiare di notte. Una sera i tedeschi la fermano, non vogliono lasciarla andare, lei scoppia a piangere, chiedono dove abita. Il giorno dopo si presentano lì e vedendo due letti non credono alla storia di un parente che si è allontanato e la picchiano, la scaraventano da un muro all’altro, vogliono sapere dove sono i ragazzi che si nascondo. Adele è incinta.

Tornano a Spinea, un’impiegata del comune procura loro, rischiando tantissimo, dei documenti falsi. Quando li fermano i tedeschi mostrano i documenti italiani, quando li fermano gli italiani mostrano quelli tedeschi. Così, in qualche modo, riescono a salvarsi.

Nel frattempo nasce Enza e Gianni lascia l’università (nonostante tutto continuava a studiare) e inizia a lavorare. Adele riesce a farlo assumere alle ferrovie, come interprete, mostrando i documenti italiani. Lo prende un capitano tedesco.

La scrittura è sempre stata la sua passione e stende sceneggiature sotto lo pseudonimo di Gianni Di Guida. Il manifesto di uno spettacolo presentato al cinema Bersaglieri porta il suo nome, anche come regista. In fondo al manifesto è interessante la scritta “In caso di allarme aereo lo spettacolo continuerà dopo il cessato allarme”.

Finisce la guerra e Gianni e Adele si possono finalmente sposare. Nasce il figlio Alberto, che diventerà un calciatore, indossando anche la maglia dell’Inter.

(Alberto Reif)

Nel 1948 Gianni inizia a fare il giornalista sportivo presso Supersport, di cui col tempo diviene direttore. Ai mondiali di calcio in Brasile del 1950 è il più giovane giornalista accreditato. Lavora nelle più importanti testate sportive e addirittura ne fonda una: “Automondo”; stringe amicizia con Enzo Ferrari; Giorgio Lago è suo allievo.

Gianni Reif muore giovane, a soli 54 anni, ma ha vissuto in modo pieno, approfittando di ogni opportunità favorevole che la vita gli ha dato, anche nei periodi più duri e difficili ed è riuscito, secondo le testimonianze di chi lo ha conosciuto, ad essere una persona felice, soprattutto del suo lavoro.

(Fonte “Spinea: una storia attraverso le fonti” di G. Bosmin e F. Stevanato)

(16 marzo 2018)

D. B.


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