PILLOLE DI STORIA: TERRITORIO E VILLE DI SPINEA DAL 1550
Sappiamo che in pochi decenni, tutti del ‘900, Spinea è cresciuta velocemente senza un piano urbanistico ben definito, cancellando o modificando pesantemente molte tracce del passato. Restano testimoni della nostra storia raffinate ville e ampi giardini.
In passato le costruzioni non sorgono in fretta, le modifiche al territorio sono lente, non lo stravolgono malamente, spesso non sono progettate nell’insieme ma sono tali da soddisfare le esigenze sociali e produttive del territorio stesso. Si trasformano i terreni da incolti a coltivati e sorgono abitazioni sempre più signorili.
Abbiamo già visto che finita la guerra promossa dalla lega di Cambrai (1509-1517) numerose fortezze vengono rase al suolo e tra queste il castello di Orgnano. E’ sempre maggiore il numero di signori veneziani che si spostano a vivere in terraferma, almeno per qualche mese l’anno, nelle nuove dimore che si costruiscono, anche grazie alle opere di sistemazione idraulica che strappano terreni alle acque stagnanti e paludose, rendendoli appetibili ai veneziani che, da bravi mercanti, fiutano l’affare. Le ville diventano dei microcosmi dove il riposo si coniuga alla conduzione del fondo agricolo. Si impara a canalizzare le acque, si appianano i terreni, si piantano nuove specie alboree e si inizia a ruotare le coltivazioni.
Cresce il numero degli abitanti “foresti” (il territorio è ancora trevigiano) che possiedono terreni a Spinea. Nel 1542 se ne contano 75, quasi tutti veneziani. Ci sono cittadini comuni come Bòrtol Calegher e Santo Barbier, e ci sono nobiluomini come Giustinian e Dolfin a Crea, Malipiero e Priuli ad Orgnano, Bon e Michiel a Rossignago, Vendramin e Foscarini a Villafranca, Querini e Barbaro a Spinea centro. Verso la fine del secolo si aggiungono i Barbarigo, i Loredan, i Renier, i Trevisan e i Monico.
Nelle proprietà lavorano affittuari e braccianti che vivono per lo più in poveri casoni di legno con il tetto in paglia. Sono rare le costruzioni in muratura, dimore degli amministratori (massari).
Le ville più ricche sono fedeli all’architettura tradizionale veneziana, con finestre polifore e due piani nobili più un sottotetto. Attorno alla casa si trovano una corte ed il brolo (vigneto e frutteto insieme). Poco distanti ci sono le dipendenze: abitazioni del massaro e della servitù, stalle, cantine e fienile.
(le proprietà Cappello ad Orgnano – carta del 1558)
Le sontuose decorazioni non hanno lo scopo di esibire la ricchezza ma quello di rendere gli ambienti piacevoli e conviviali. Si prediligono elementi classici, con rimandi alle gesta eroiche degli antichi, come nel Palazzo dei Cappello, più volte procuratori di San Marco, purtroppo demolito intorno al 1860.
Palazzo Cappello sorge ad Orgnano verso la fine del Cinquecento e viene affrescato intorno al 1610 dai pittori Antonio De’ Ferrari (chiamato “El Folèr”) e Matteo Verona. El Folèr, che ha già lavorato in alcune chiese a Venezia e a Palazzo Ducale, illustra in una sala le sette meraviglie del mondo e figure virtuose dentro quadrature di finta architettura. Matteo Verona dipinge le storie di Sofonisba, il ratto delle Sabine, Curzio che si avventa sulla voragine e Cesare trionfante, e molte matrone piangenti tra schiavi incatenati.
(la facciata di Villa Cappello in un disegno del 1850 circa di F.S. Fapanni)
Tutto deve garantire, pur nella attività produttiva, la comodità della vita in città. Utilità e quiete devono convivere insieme.
Carlo Ridolfi, biografo di artisti e pittore, durante la pestilenza che colpisce Venezia nel 1630 trascorre sedici mesi a Spinea in casa Stefani, divenuta poi villa Accurti – Fornoni – Del Maino “il luogo benché ritirato non vietava però in tutto il commercio, passando di continuo a Venezia rustici del villaggio stesso che portavano viveri (…..) Ivi non udii giammai il nome di medico né di speziale essendoché la natura opera per sé stessa né rustici meravigliosi effetti; poiché, in vece della dieta necessaria gli infermi, l’alimento è salubre medicina a’ loro corpi”. Mentre dipingeva le chiese di Spinea e di Mirano, trescava con una pastorella che “sapeva nodrire lo amante di speranze, di ciance, di promesse”. Alla sera, nella casa degli ospiti, si intratteneva in giochi che spesso coinvolgevano anche i servi che “danzavano al suono d’uno zufolo e facevano altri giochi atti ad alleviar le noie”.
La storia continua prossimamente…
D.B.
(fonte: “Villa Simion” di G. Conton e S. Di Giusto)